16 settembre 2005

Track 03 - MOFO

lyrics

“Willie, come hai detto che si chiama questo cesso dimenticato da Dio?”
“Gehenna, Ahmir.”
Mai una volta che si ricordasse il nome del posto dove si esibiva.
Gli diedi un’ultima controllata, trucco e vestiti erano a posto. Già dalla faccia gli scompariva quell’espressione annoiata e sprezzante, sostituita dal sorriso che riusciva inevitabilmente a catturare il pubblico.
“Vai, sei perfetto.”
Appena la gente lo riconobbe il silenzio carico di tensione esplose in un grido di giubilo.
Dalla mia posizione privilegiata dietro il palco potevo vedere tutto quello che succedeva, studiare il pubblico, sempre diverso eppure sempre uguale… tre adolescenti sull’orlo dello svenimento, una splendida rossa dallo sguardo smarrito, un uomo molto sexy dalla pelle olivastra, il barista, che stranamente non guardava il palco come il resto della discoteca ma sembrava avere occhi solo per la rossa…
La folla era in delirio, e come darle torto? Ahmir era unico, non avevo mai conosciuto una persona con il suo fascino, il suo carisma e il suo talento. Per un po’ ero stato infatuato di lui, penso fosse inevitabile, poi col tempo avevo cominciato a capire chi si nascondeva dietro il personaggio della popstar, e avevo deciso di lasciare perdere. Non che Ahmir disdegnasse le relazioni omosessuali, ero io che non avevo voglia di legarmi ad un bambino insoddisfatto, e solo. Così, mi ero lasciato doppiamente fregare, mi ero affezionato a lui ed ero diventato il suo babysitter, senza neanche la gratificazione di una bella scopata.
Certo non mi dispiacevano lo stipendio, il continuo viaggiare, la vita frenetica dello showbiz. Ma a volte mi ritrovavo a fantasticare di una vita ‘normale’, in cui Ahmir sarebbe stato semplicemente una star in TV.
Ahmir irruppe nel backstage, la prima parte dello spettacolo era finita. Si deterse il sudore, bevve un po’ di riequilibrante idrosalino, scambiò qualche battuta con i tecnici.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Era come se evitasse il mio sguardo.
“Ahmir, dimmi che c’è.”
Sguardo da coniglio in trappola. “Nulla… ora devo tornare sul palco.”
Durante la seconda parte dello show mi lambiccai il cervello cercando di capire cosa potesse turbarlo, ma niente. Continuai a lambiccarmi anche durante la successiva festa nel locale più rinomato della città, finché tornati in albergo decisi di metterlo alle strette.
“Ahmir, deciditi a parlare.”
Di nuovo lo sguardo da coniglio braccato.
“Ahmir…”
“Sai chi ho visto in quella discoteca?”
Lo guardai. Chi diavolo poteva aver visto?
“Ho visto mia sorella.”
“Tua… sorella?!” Dire che rimasi sbalordito è poco. In tanti anni passati ad accompagnarlo da un impegno all’altro, sostenendolo, e a volte consolandolo, l’idea che potesse avere una sorella non mi aveva mai sfiorato neanche l’anticamera del cervello.
“È riuscita a lasciarmi un biglietto in camerino.”
Passeggiava su e giù per la stanza, giocherellando con le mani.
“Mi ha dato un appuntamento. Domani. Nel suo appartamento.”

1 Comments:

Blogger SacherFire said...

Il primo ascolto di Mofo mi fece dire: che è sta roba? Non la compresi affatto, neanche dopo quel 'Mother am I still your son'. Mi ci è voluto del tempo, e al PopMart devo dire che col seguito di I will follow l'inizio era molto bello. Ha una potenza tale da travolgere, pur essendo intimista.
Nel racconto l'intimità è ben presente, pur se l'hai lasciata sospesa col finale della sorella, senza andare a scavare oltre. Ma va bene: anche Mofo non chiude, imho, perché la risposta alla domanda di Bono non c'è. Non so se il riferimento al pubblico che fai può essere visto come la parte che descrive la potenza di Mofo, io nel racconto questa cosa, che è una mia sensazione nulla di più, non la trovo. Intendo dire come atmosfera.
Cerco di fare i confronti con le sensazioni che mi danno le canzoni con quelle dei racconti. Non mi illudo di trovare una corrispondenza netta. Solo per spiegare la chiave di questi miei commenti.

17 settembre, 2005 15:49  

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